L’evasione fiscale ammazza l’economia italiana, con una stima che parla di una media del 17%. Ma ad affossarla contribuisce anche il lavoro nero, come dimostrano gli ultimi dati diffusi dall’Istat che parlano di un numero impressionante: sarebbero infatti almeno due milioni e mezzo gli irregolari, pari al 10,3% del totale.
Un numero che si va a scontrare anche con i circa 190mila lavoratori regolari che nel 2010 hanno perso la loro occupazione, mentre quello di quelli impiegati in maniera non regolare è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno prima. Come a dire che qui la crisi non si conosce, o meglio che certe pratiche sono dure da far morire e molta gente si accontenta anche di non essere messa in regola con i contributi pur di poter portare a casa uno stipendio a fine mese.
In testa alla classifica c’è soprattutto il secondo lavoro, che in Italia interesserebbe almeno 4,8 milioni di persone. Persone che probabilmente sono tranquille per i contributi presi sul posto di lavoro regolare e che per arrotondare sono disposte ad aggirare le regole: la percentuale maggiore si registra nel mondo dell’agricoltura con una cifra pari al 37,4% dei lavoratori, seguita dai servizi (commercio, ristorazione, attività alberghiere) con il 10,6% mentre l’industria viaggia ‘solo’ con un 5,7%. L’Istat fa anche notare come non ci possano essere dati precisi su colf e badanti, soprattutto quelle straniere, che comunque dovrebbero avere una percentuale superiore al 50% visto che nel 2009 ne sono state contate 776mila irregolari.
E da questo deriva un dato impressionante per l’economia sommersa che ammonta ad una cifra tra i 255 e i 275 miliardi, ossia tra il 16,3 e il 17,5% del Pil. Ovviamente sono molte le differenze a livello territoriale, come ha fatto notare la Cgia di Mestre che fotografa una situazione drammatica al Sud, con un tasso di irregolarità pari al doppio di quello che si registra, almeno ufficialmente, nelle regioni settentrionali.
I rimedi? Nessuno ha la bacchetta magica, ma maggiori controlli delle istituzioni preposte oltre ad un carico fiscale minore per le imprese, che potrebbero così essere indotte e regolarizzare più delle posizioni in bilico, sarebbero una buona base di partenza.
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