La crisi nel mondo del lavoro in Italia è sotto gli occhi di tutti, in particolare per quello che attiene all’occupazione giovanile. Ma come sottolinea l’Istat riprendendo una ricerca della Fondazione studi Consulenti del lavoro ci sono almeno 150 mila posti liberi che però non trovano candidati disponibili.
E’ il paradosso di un’offerta che va anche al di là della domanda, in settori che sarebbero anche vitali e che in prospettiva possono assicurare buoni guadagni. Ma si tratta di lavori soprattutto di natura manuale che richiedono una minima preparazione di base e che necessitano anche di turnazioni, magari di coperture in orari notturni oppure che presuppongono una certa gavetta prima di uno sbocco professionale sicuro.
Diverse le professioni a caccia di aspiranti e alcune sono decisamente comuni. In testa c’è il ruolo di installatori degli infissi con il 46% delle richieste che cadono nel vuoto, poi l’infermiere sia al maschile che al femminile con il 43% e l’operaio specializzato con il 33%. A seguire il tecnico informatico con il 24%, il falegname con il 17% e il panettiere con il 15%. A ancora, con percentuali superiori al 10%, ci sono anche mestrieric comuni come pasticceri, baristi, camerieri e macellai oltre ai sarti.
La ricerca ha anche analizzato il profilo dei 3 milioni di lavoratori inattivi che sulla carta sono disposti a lavorare, ma che in realtà non si dedicano a cercare un’occupazione. Dall’analisi risulta una buona èarte di ‘scoraggiati’, ossia 1,3 milioni che sono il 43% del totale e che dichiarano di non cercare lavoro perché sono convinti di non trovarlo. Ma in mezzo ci sono anche oltre 100mila persone che non sono disposte ad accettare qualsiasi tipo di impiego.
In più ci sono quelle professioni che comunque sono difficili da coprire perché implicano un percorso formativo per il quale è previsto un acesso a numero chiuso, come o tecnici informatici (per il 24%), oppure prevedono una formazione che le scuole italiane ancora non sono sempre in grado di fornire come gli operai specializzati (il 33%). Ecco perché il mondo del lavoro in Italia, al di là delle possibili riforme, deve ancora progredire.