E’ un paradosso dell’Italia moderna. Ci sono migliaia di giovani pronti ad entrare nel mondo del lavoro ma ancora poche aziende in grado di sfruttare al meglio le loro potenzialità: sono, come faceva rilevare un interessante articolo sul sito internet del ‘Corriere della Sera’ i cosiddetti ‘millennials’, ossia chi ha oggi tra i 18 e i 30 anni.
Per gran parte si tratta di persone, indipendentemente dal sesso e dall’alto grado di istruzione, abituati a utilizzare normalmente per la loro vita di tutti i giorni, non solo quella ‘sociale’, computer e telefonini anche di ultima generazione utilizzandoli all’occasione anche come vere e proprie postazioni di lavoro a distanza.
Un capitale umano che rischia di essere sottoutilizzato, come ha fatto rilevare lo studio eseguito da NetConsulting e Ca Technologies intervistando gli studenti di quattro grandi atenei italiani di ingegneria ed economia oltre ad un campione di 150 aziende leader nel loro settore. Dall’indagine arriva la conferma che la stragrande maggioranza degli intervistati crede di poter essere una risorsa per le aziende proprio per la sua profonda conoscenza delle moderne tecnologie.
Infatti il 52% di loro utilizza normalmente uno smartphone e addirittura l’88,3 un notebook, mentre solo quattro su dieci lavorano su un pc fisso. Il significato più profondo è che vedono nella mobilità, anche fisica, una risorsa per poter lavorare in ogni condizione e in ogni posto di possano trovare, riuscendo così a realizzare importanti risparmi di tempo oltre che di soldi. Come a dire che il telelavoro, non necessariamente da casa sta diventando sempre più una scelta oltre che una necessità per adattarsi al mercato moderno.
Dall’altra parte le aziende che credono nelle potenzialità di questa rivoluzione culturale, con due su tre di loro effettivamente convinte di poter ottenere una maggiore efficienza, ma al tempo stesso il 72,3% degli intervistati crede che la sua impresa non sia ancora culturalmente pronta a sposare la rivoluzione. Une delle resistenza maggiore arriverebbe dalla troppa disinvoltura con la quale i ‘figli dei social’ sono disposti a condividere dati, anche sensibili, in rete e che per le aziende potrebbe causare danni economici non calcolabili.
Ecco perché la maggioranza della aziende ancora oggi riduce, se non annulla del tutto, la possibilità per i suoi dipendenti di viaggiare su internet in ufficio e soprattutto di accedere ai ‘social’. In più molte imprese non dispongono di reti interne adeguate ad un traffico così notevole. Insomma, tra formazione privata e pubblico utilizzo c’è ancora un gap notevole da colmare.