Quanto vale in media il lavoro di ogni italiano? L’hanno calcolato le Acli che hanno messo assieme gli stipendi medi categoria per categoria e fatto una fotografia della situazione generale in Italia.
Il dato più eclatante è che una giornata di un dirigente rende almeno 356 euro in più di quello di un operaio in busta paga.
Se la media giornaliera è di 83 euro, risulta che oltre ai manager, abbondantemente sopra, non si possono lamentare nemmeno i quadri, che ne incassano 111 in più e gli impiegati, con ‘soli’ 6 euro in più mentre sotto la media ci sono oltre agli operai ci sono anche gli apprendisti (16 euro in meno) e le donne, che ottengono 27 euro in meno degli uomini. Divergenze eccessive secondo le Acli che comunque avvertono di non considerare la crisi economica come unico colpevole. Tra i maggiori indiziati per questa disparità ci sono l’occupazione sommersa, che è il 12% del totale, come quella precaria che riguarda il 23% dei lavoratori, e quella non mansionata a seconda dell’istruzione che è una realtà per il 19% degli italiani e per il 42% degli immigrati.
Dall’analisi emerge anche come il mercato del lavoro italiano scontenti chi vi faccia parte e soprattutto chi ne è tagliato fuori. La quota di persone soddisfatte del proprio impiego è passata dal 25 al 21% per gli uomini e dal 30 al 21% per le donne tra il 1995 e il 2010.
I lavoratori meno qualificati sono anche i meno appagati con solo l’11% che si dichiara contento, mentre la soddisfazione cresce tra gli impiegati molto qualificati, con il 34%. Ed è anche disastrosa la capacità del mercato italiano di riassorbire chi abbia perso il posto: il 45% dei disoccupati lo è da più di due anni e gli scoraggiati, quelli chi hanno rinunciato a cercare un lavoro, sono più del doppio della media europea, il 10% degli inattivi.
Sono anche disarmanti i dati riguardanti il precariato. Infatti il 48% di quanti hanno un contratto di lavoro atipico ha tra i 30 e i 49 anni. Inoltre il 23% dei lavoratori non ha un’occupazione a pieno e non a tempo indeterminato, il 12% (pari a 2.700mila persone) è un lavoratore a tempo parziale, mentre l’11% è un atipico. Il lavoro a tempo parziale interessa maggiormente le donne che sono un 1milione e 800mila.
E ancora nel 2010 si sono perse circa 70mila posizioni dirigenziali, hanno perso il lavoro 78mila professionisti che lavoravano nel mondo della conoscenza e oltre 100mila tecnici impiegati nella fascia alta degli stipendi; 110mila sono stati invece gli operai specializzati e gli artigiani costretti a lasciare i lavoro. A fronte di questo sono entrate 108mila donne in posizioni non specializzate e 58mila in quelle impiegatizie. Per cui, secondo le Acli, c’è “un ulteriore allargamento della base occupazionale poco o per nulla specializzata”.
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