La riforma del lavoro rimane lì, in attesa di approvazione e soprattutto applicazione. E intanto il settore occupazionale in Italia soffre di una crisi che non si vedeva da almeno otto anni, almeno a leggere gli ultimi dati diffusi dall’Istat non più tardi di ieri mattina.
Perché nel 2011 ci sono stati ben 2,897 milioni di inattivi che materialmente non hanno cercato un impiego ma sono disponibili a lavorare.
Una cifra in aumento del 4,8% (pari a 133 mila unità) rispetto al 2010. Inoltre è cresciuta la quota di inattivi rispetto alle forze di lavoro rispetto all’anno precedente, passando dall’11,1% all’11,6%, cifra nettamente superiore a quella che rappresenta la media europea con il 3,6%. Ma soprattutto stride se rapportata a Paesi che sono a noi vicini come Francia (1,1%), Grecia (1,3%), Germania (1,4%) e Regno Unito (2,4%).
Il male che pervade chi è senza lavoro, giovane come meno giovane, è lo scoraggiamento.
Infatti il 43% di quelli che rimangono fuori ha apertamente detto di non aver cercato occupazione perché convinto che tanto non sarebbe riuscito a trovarla. Un fenomeno che in Italia si sta facendo sempre più pressante e presente, visto che nel resto d’Europa i disoccupati in senso stretto rappresentano la maggioranza rispetto agli scoraggiati. Nel 2011 inoltre secondo l’Istat gli inattivi che cercano un impiego ma non sono disponibili a lavorare sono 121 mila unità, circa seimila in meno rispetto all’anno prima.
E a questo si devono aggiungere i sottoccupati part time che sono 451 mila unità con un aumento del +3,9% rispetto al 2010 e rappresentano l’1,8% del totale delle forze di lavoro mentre nell’Unione Europea l’incidenza è pari al 3,6%. Come sottolinea il rapporto “oltre allo scoraggiamento, la cura dei figli e dei familiari rappresenta per la componente femminile il motivo più significativo della mancata ricerca del lavoro, interessando una donna su cinque mentre per la componente maschile rimane invece rilevante l’atteggiamento di attesa dei risultati di passate azioni di ricerca”.
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