Nel nuovo governo dei professori, ce n’è uno che è atteso al varco. In realtà si tratta di una, è la professoressa torinese Elsa Fornero, l’economista torinese al quale è stato affidato il delicato compito di riscrivere le regole del Welfare in Italia.
Una riforma per far quadrare i conti che passa necessariamente dal lavoro e dalle pensioni. Difficile che il nuovo governo, in primis la Fornero, proponga modifiche all’articolo 18 anche per non creare nuovi attriti con le parti sociali, a cominciare dai sindacati. Ma lei viene soprattutto da una formazione e lunga esperienza in materia previdenziale (oltre che da Intesa Sanpaolo come il suo nuovo collega Corrado Passera).
E le sue idee in materia sono note da tempo, ancora prima che salisse a Palazzo Chigi. Sostanzialmente si tratterebbe di estendere il metodo di calcolo contributivo a tutti i lavoratori applicando già dal 2012, il sistema di versamenti pro-rata per tutti i lavoratori, rendendo subito effettiva un’età minima di pensionamento pari a 63 anni che si accompagni al requisito dei 20 anni di anzianità oggi richiesto per le pensioni di vecchiaia. Accanto a questo ci sarebbe una ‘fascia di flessibilità’ che incentivi i lavoratori a ritardare la pensione almeno sino ai 68 anni che metta nero su bianco sia i maggiori contributi versati che la maggiore età.
Il primo effetto, se così dovesse essere concretamente la proposta, sarebbe quello di un generale avvicinamento dei trattamenti per tutte le categorie e non di una sperequazione come avviene oggi e avrebbe potuto essere in futuro. Per tutti quindi si avrebbe un aumento dell’età minima di pensionamento, mentre sparirebbero sostanzialmente le pensioni di anzianità, discorso che ai sindacati piace poco. Un discorso che interessa il mondo del lavoro a 360°, a partire dai politici. Come a dire, in estrema sintesi, che i sacrifici ci possono stare, a patto che siano uguali per tutti e che servano comunque a garantirsi tranquillità in futuro.
Per comprendere la reale portata della riforma, secondo i calcoli del Cerp, ossia il Centro studi sul Welfare, si risparmierebbero dai 4 ai 4,5 miliardi già nel primo triennio e tutti sarebbero sullo stesso piano contributivo.
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