I giovani sono la risorsa migliore per il futuro dell’Italia. Lo sentiamo ripetere spesso, da più parti, ma in realtà il mondo del lavoro sembra accorgersene poco.
Poco importa che si tratti di diplomati o laureati: il dato di fatto è che attualmente c’è oltre un milione e mezzo di ragazzi tra i 20 e i 30 anni che è fermo a casa.
L’ultimo in ordine di tempo ad attestarlo è il Censis che ha elaborato uno studio basato su dati Istat. In Italia ci sono 7,6 milioni di persone comprese in quella fascia di età: poco più di 5 milioni lavorano, all’incirca 500mila stanno ancora studiando, ma soprattutto 680mila sono in cerca di un lavoro e a loro vanno aggiunti quelli che per scelta o volontà stanno a casa.
Quindi più di due milioni sono fuori dai circuiti produttivi, non contribuiscono a far crescere l’economia e con questa il Pil del Paese.
E se nei quattro lustri tra il 1971 e il 1991 il reddito pro-capite dei giovani è cresciuto del 75,3%, negli ultimi diciannove anni sino al 2010 invece è aumentato solo del 10,6%. A questo va aggiunto che l’Italia ha il tasso di laureati più basso rispetto agli altri maggiori Paesi europei e comunque per loro si registra la percentuale più bassa di occupazione.
Colpa della congiuntura, certo. Ma anche di una preparazione che le aziende spesso giudicano insufficiente: il 26,7% degli imprenditori infatti dichiara di “incontrare difficoltà a recuperare le competenze tecnico professionali di cui ha bisogno”. Altro problema fondamentale è quello legato alla volontà dei giovani universitari di dedicarsi ad una cosa o all’altra senza avere la mentalità visto che le aziende lamentano la “poca propensione dei giovani a lavorare mentre si studia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi europei”.
Dalla ricerca emerge inoltre come quasi la metà dei giovani inseriti nel mondo del lavoro sia impiegata con contratti flessibili o atipici (si tratta del 45,6%), mentre il restante numero è assunto con contratti a tempo indeterminato. Una scelta, o meglio una necessità, che è trasversale in tutta Italia ché se è vero che le maggiori criticità si registrano al Sud, nelle regioni del Centro e soprattutto del Nord la percentuale di chi non abbia un lavoro fisso o ancora di più sia inattivo resta troppo alta.
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