Un mezzo passo indietro del governo, un passo avanti della riforma. E’ così che va inquadrata la modifica definitiva della proposta avanzata dall’esecutivo Monti e che già nelle prossime settimane dovrebbe essere approvata dal Parlamento visto che le forze che lo appoggiano si sono dette tutte d’accordo. Ecco quindi le norme definitive che cambiano l’articolo 18 sul lavoro.
In primis è stato ripristinati il reintegro in seguito ai licenziamenti individuali per motivi economici nelle aziende con più di 15 dipendenti. Ma potrà avvenire soltanto quando sia verificata la “manifesta insussistenza” dei motivi esplicitati dal datore di lavoro ne provvedimento. Invece negli altri casi ci sarà diritto ad un indennizzo, che va da 12 a 24 mensilità dell’ultima retribuzione.
Invece per i licenziamenti discriminatori non cambia nulla rispetto alla precedente versione del governo che sposa le norme dell’attuale articolo 18. Si tratterà sempre di licenziamenti nulli che prevederanno il reintegro. Per il resto è confermata la modifica dell’attuale articolo 18 che prevede sempre il reintegro nel caso manchi la giusta causa o il giustificato motivo. Adesso questo reintegro sarà lecito solo quando il fatto contestato non sussiste o non è stato commesso oppure ancora se il fatto rientra tra le condotte previste dai contratti collettivi mentre in tutti gli altri casi ci sarà solo l’indennizzo.
Spetterà in ultima istanza ad un giudice stabilire se si debba procedere con il reintegro o l’indennizzo quando il motivo non sussiste, ma perché il lavoratore torni effettivamente al suo posto c’è bisogno che il motivo sia “manifestamente insussistente”, ossia assolutamente ingiustificato. E diventerà effettiva la nuova procedura di conciliazione, obbligatoria per i licenziamenti economici. In pratica prima di licenziare il datore di lavoro dovrà pubblicamente manifestare l’intenzione, i motivi e le eventuali misure di assistenza per la ricollocazione. Spetterà alla Direzione territoriale del lavoro convocare entro sette giorni le parti, insieme a sindacati o legali, ed entro 20 giorni si cercherà una soluzione consensuale.
Se l’esito sarà positivo, con la risoluzione del rapporto di lavoro tramite un indennizzo per il lavoratore questi potrà rivolgersi ad un’agenzia per il ricollocamento. Se invece il tentativo fallisce, il datore di lavoro licenzia il lavoratore che può ricorrere contro il licenziamento per dimostrare che in realtà si tratta di motivi discriminatori o disciplinari, o ancora infondato, nel qual caso sarà reintegrato. Se non ci riuscisse, però, verrà licenziato e perderà anche il diritto all’indennizzo che avrebbe ottenuto in sede conciliativa. Insomma, prima di far causa bisognerà valutare attentamente le conseguenze.
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