Il caro-vita sale, gli stipendi no. Può sembrare lapalissiano, ma è uno dei motivi fondamentali per la crisi economica delle famiglie italiane. Il lavoro non rende come dovrebbe, soprattutto le paghe non si sono adeguate a quella che è stata la ricorsa dei prezzi, di tutti i generi.
L’ultimo dato relativo ad ottobre è emblematico, visto che ha toccato un nuovo record negativo raggiungendo la differenza maggiore dal 1997: la media degli stipendi è rimasta sostanzialmente ferma rispetto a settembre, con un incremento solamente dell’1,7% su base annua come già nei tre mesi precedenti. Al contrario, come ha rilevato l’Istat, i prezzi sono aumentati del 3.4% soprattutto causa le bollette energetiche e la nuova Iva.
Quindi, a fronte di aumenti costanti nelle spese necessarie e non voluttuarie, gli emolumenti rimangono desolatamente fermi, mentre fino al 2009 crescevano in media di oltre il 4% cercando di adeguarli alla crescita dei prezzi. Così si registra una perdita secca del potere d’acquisto da parte dei lavoratori italiani, sopratutto per quello che riguarda gli statali sui quali pesa il blocco della contrattazione fino al 2014 stabilito per legge, che potrebbe perdurare almeno sino al 2017.
In ballo, secondo l’Istat, al di là del contratto specifico che il Gruppo Fiat dovrà concordare da gennaio con i suoi lavoratori dopo l’uscita da Confindustria, ci sono ancora ben 31 accordi contrattuali generali da rinnovare, per un totale di 4,3 milioni di dipendenti. E soprattutto molti di loro attendono un adeguamento da troppo tempo: la media infatti è di oltre 22 mesi.
Inoltre, come fa rilevare l’Istat, nelle aziende con più di 500 addetti le retribuzioni lorde per ora lavorata, compresi cioè premi, straordinari e mensilità aggiuntive a settembre sono calate del 2,1%. Colpa di un sistema sostanzialmente bloccato, secondo i sindacati, ma anche di una crisi occupazionale e produttiva che non sembra conoscere fine.
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