La disoccupazione in Italia ha raggiunto livelli di guardia, quella legata al lavoro giovanile è semplicemente drammatica, con dati che la pongono agli stessi livelli del 2004, uno dei periodi peggiori per l’Italia. Lo attesta l’Istat con numeri che lasciano poco spazio alle interpretazioni di chi voglia intravedere una speranza.
Il tasso di disoccupazione è salito a settembre all’8,3% rispetto all’8% fatto registrare ad agosto e il numero complessivo dei disoccupati ha sfondato quota due milioni (precisamente 2.080.000), in aumento del 3,8% rispetto ad agosto (+76 mila unità). Ma quel che preoccupa di più e la mancanza di lavoro legata ai giovani che complessivamente sale a settembre al 29,3%, dal 28% di agosto.
E quindi si torna a quello che era il dato di sette anni fa, segno che l’Italia non è andata avanti.
Se i giovani, soprattutto quelli tra i 15 e i 24 anni, sono messi male non meglio stanno le donne: infatti quasi una su due (ossia il 48,9% di loro) è inattiva, ossia ha smesso di cercare un’occupazione a fronte del 26,9% maschile, mentre la percentuale complessiva di quelle che lavorano è pari al 46,1% e il 9,7% è disoccupata. Tutti dati che proiettano l’Italia tra i Paesi peggiori in Europa: ad essere messi peggio sono solo la Spagna, con il 48% di disoccupazione giovanile,m seguita da Slovacchia con il 30,7% e Irlanda con il 29,5 mentre quelle messe meglio sono l’Austria con solo il 7,1%, l’Olanda con l’8,0% e la Slovenia con il 13,4%, con una media dell’Unione Europea del 21,4%.
Ovvia la preoccupazione espressa dai sindacati. Il segretario confederale Fulvio Fammoni ha rimarcato come sia “una delle poche volte da molti anni, che aumentano contemporaneamente sia gli inattivi che i disoccupati. Questo è il vero problema della crescita che richiede una risposta all’Europa: non chiudere imprese e non perdere lavoro. Il governo invece parla di licenziamenti facili, uno sberleffo per la condizione dei lavoratori”. Mentre per il segretario della Uil, Luigi Angeletti, “i dati dimostrano come sarebbe più efficace incentivare le aziende a tenere al lavoro le persone piuttosto che incentivarle a licenziarle e poi dover assistere i disoccupati”.
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