La tragedia delle quattro operaie morte lunedì scorso a Barletta ha riportato alla luce, se mai ce ne fosse stato bisogno, il dramma del lavoro nero in Italia. Un fenomeno che ormai è considerato quasi necessario e che ancora oggi presenta cifre importanti, difficili da cancellare in fretta.
Seconda i dati in possesso della Cgia di Mestre in Italia ci sarebbero quasi tre milioni di lavoratori non regolarizzati che con la loro manodopera aiutano a produrre quasi 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5% del Pil nazionale. Così verrebbero sottratte alle casse dello Stato entrate pari almeno a 42,7 miliardi di euro l’anno, pari praticamente a 709 euro a persona.
Un fenomeno che interessa soprattutto le regioni del Sud Italia, nelle quali è presente oltre il 40% dei lavoratori irregolari mentre al Nord Est, spesso additato come patria della grande produttività unita a pratiche irregolari, il fenomeno sarebbe meno diffuso. In testa a tutte le regioni italiane c’è la Calabria che vanta almeno 184mila lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3%. Il che significa in concreto 1.333 euro di imposte evase per ogni singolo residente in regione.
Cifre simili sono anche quelle che risultano all’Istat, secondo il quale nel 2010 i lavoratori non a norma nel 2010 erano almeno uno su dieci, comunque superiori ai due milioni e mezzo, oltre due milioni dei quali dipendenti mentre gli altri sono autonomi. Il sommerso si concentra soprattutto nei settori dell’agricoltura, edilizia e nei lavoratori domestici, mentre nell’industria si limita al 4,3%, una percentuale inferiore alla metà della media complessiva.
Un fenomeno certamente legato ad antiche e difficilmente sradicabili cattive abitudini, accentuato dalla profonda crisi economica che sta colpendo non solo l’Italia. In un Paese nel quale molti si devono arrangiare, non esiste più il posto fisso e soprattutto è aumentato esponenzialmente la percentuale di lavoratori stranieri e giovani, è forse un male con il quale bisogna convivere, perché così almeno le famiglie riescono ad arrivare a fine mese.
Un paradosso che ovviamente e correttamente andrebbe combattuto in primis con il rafforzamento dei controlli ispettivi, la lotta al ‘caporalato’ specialmente nel mondo dell’edilizia e dell’agricoltura, incentivi alle famiglie e alle aziende che vogliono uscire dall’anonimato con un vero piano per il rilancio del lavoro che è ancora lontano dal concretizzarsi.