Si annuncia un autunno dalle tinte nerissime per quello che riguarda l’occupazione in Italia. Certo va meglio rispetto ad un anno fa, almeno per quello che dicono i numeri, ma comunque secondo i dati diffusi di Unioncamere da qui alla fine di ottobre sono previsti almeno 88mila posti di lavoro in uscita, pari allo 0,7% del totale.
Quelle considerate più a rischio, e anche questa non è una novità, sono le piccole e medie imprese che faticano maggiormente a fare i conti con la crisi economica italiana e mondiale ove siano anche esportatrici. Consola poco pensare che comunque nel 2009, l’anno più pesante per l’economia italiana, i posti di lavoro perduti erano stati 213mila mentre lo scorso anno eravamo scesi a 178mila, ossia un dato pari a –1,5%.
Nell’anno in corso, sino ad oggi, i conti sono finora sono stati migliori: 44mila entrate in più rispetto al 2010 e soprattutto 47mila uscite in meno. Dati che potrebbero far pensare con ottimismo al futuro se non fosse che la ripresa, soprattutto nel settore dell’industria, è ben lontana dall’essere concreta e presente. Infatti a fine 2011 per il settore industriale è ipotizzata una perdita secca di quasi 59mila unità (-1,2%). Un po’ meglio il settore dei servizi che dovrebbero perdere ‘solo’ 29mila unità (-0,4%). Gli stessi che verranno praticamente a mancare alle imprese di costruzioni italiane.
Nei servizi l’unico settore che arriverà almeno ad un –1% è quello degli alberghi e ristoranti, mentre i tassi di variazione degli altri comparti sono compresi tra il -0,7% (per i servizi alle imprese) e il -0,2% (per il commercio al dettaglio). In controtendenza invece i servizi avanzati, gli unici con segno positivo: in questo settore le imprese pensano di incrementare almeno di circa 1.500 unità i propri dipendenti.
A soffrire di questo calo d’occupazione sono soprattutto le regioni meridionali. Infatti nel Nord Ovest è prevista una contrazione di circa 19mila posti di lavoro (-0,5%), nel Nord-Est di 10.600 (-0,4%), in Centro di 16.600 (-0,7%) mentre al Sud i posti di lavoro in meno dovrebbero essere oltre 41mila, con un tasso di variazione occupazionale pari a -1,6%. Un fenomeno legato soprattutto alle imprese piccole, anche a gestione familiare, che sono quelle più penalizzate tanto da poter arrivare a perdere quasi 30mila unità.
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