Una delle novità più importanti nel mondo del lavoro e dei permessi che lo regolano, ora che il governo ha approvato definitivamente la riforma, è nella possibilità di trasformare il congedo parentale in permessi ad ore invece che per giornate intere, permettendo così a chi lo sfrutta di avere maggiore flessibilità e di goderne per più tempo.
Per farlo entrare realmente in vigore serve però ora la ratifica da parte dei sindacati che hanno interpellato il governo per sapere se la riforma valga per tutti i contratti collettivi nazionali, anche quelli di secondo livello (ossia territoriale e aziendale). La risposta è stata ovviamente positiva, quindi si tratta tecnicamente di attendere il via libera con le firme prima di far decollare definitivamente la riforma.
Ma cosa cambierebbe in concreto? Il congedo parentale, di norma, è quello che ogni genitore-lavoratore può chiedere nei primi otto anni di vita del proprio figlio. Un periodo che non può superare nella totalità i sei mesi di astensione, richiesti in modo continuativo o frazionato (e in quest’ultimo caso in un arco di tempo che non superi i dieci mesi complessivi)
Ora la richiesta di permesso dovrà pervenire al datore di lavoro almeno 15 giorni prima del previsto e dovrà contenere sia la data di inizio che quella di fine del periodo richiesto. Il vantaggio del congedo su base oraria è che, oltre a una maggiore elasticità organizzativa, permette di mantenere anche una base accettabile di retribuzione: infatti è prevista una diminuzione sullo stipendio del 30 per cento ma potendo richiedere poche ore e non la giornata intera permetterà di avere più soldi in busta paga.
Ovviamente ne sono interessati anche i genitori adottivi o affidatari, che fruiscono dell’indennità al 30% nei primi 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore, indipendentemente dalle condizioni di reddito del richiedente, per un periodo complessivo di 6 mesi tra i due genitori mentre potranno sfruttarla da 3 a 8 anni dall’ingresso in famiglia del bambino se i genitori non ne abbiano fruito nei primi 3 anni dall’ingresso in famiglia, oppure per la parte non fruita, a condizione che il reddito individuale del genitore richiedente risulti inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione, ossia 16.101 euro nel 2013