Parliamo del lavoro inteso come attività svolta per ottenere uno stipendio, magari senza soddisfazione personale, lavorando quasi obbligatoriamente per campare talvolta rischiando il proprio futuro con un infortunio.
Oggi giorno notiamo grande differenza rispetto a quello che era il mondo del lavoro dieci, ma anche venti anni fa. Molti i prodotti e i servizi in più, molte di più le figure ricercate e le mansioni da svolgere. Nuove sono le tipologie di contratto, alcune non produttive a livello pensionistico.
Chi lavora? Tutti, chi non è capace di farlo, qualche volta anche quelli che già hanno raggiunto l’età della pensione. Bisogna lavorare poiché servono soldi per comprare beni vari, essenziali e non. Uno dei motivi che rende questo dato, un dato di fatto, è il rincaro dei prezzi, valori che sempre aumentano ma mai diminuiscono. Altro motivo per lavorare è la crescente viziosità del consumatore che fin dai primi giorni della sua esistenza si trova davanti ad una campagna pubblicitaria portata avanti da aziende in concorrenza tra loro.
Prima i settori più abbordabili erano l’artigianato, l’agricoltura e, per i più impavidi il lavoro in fabbrica, talvolta svolto in capannoni dove la materia prima era l’amianto. L’artigianato è in crisi poiché costa di più riparare che comprar nuovo. L’agricoltura coltiva i suoi frutti in una terra riempita di veleni e le industrie si trasferiscono all’estero dove la manodopera è quasi a costo zero.
Pubblicità e collaborazioni a progetto sono le opportunità dei giorni nostri. Adesso viviamo una crisi dove ancor prima che nasca la paura di non farcela nasce la paura di sprecare il proprio tempo dedicandosi a qualcosa o a qualcuno che limita noi stessi. Questo momentaccio trasforma la vita dei semplici cittadini ma non lede il perenne benessere dei gerarchici, governanti o collaboratori di essi.
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