Sono 1.518.000 gli italiani che dall’inizio dell’anno a oggi hanno smesso di cercare un lavoro semplicemente perché non ci credono più, perché pensano che sia impossibile trovarlo. Un fenomeno che dilaga soprattutto nelle regioni meridionali ma interessa trasversalmente tutta Italia e in particolare la popolazione giovanile.
A tracciare un quadro del fenomeno è l’Istat che nel primo trimestre dell’anno ha registrato una cifra di disillusi pari a quella dell’anno precedente quando si è verificato il picco più alto del fenomeno che sembra non vedere una via d’uscita. In confronto con il 2004, primo anno per il quale sono disponibili i dati, le persone che dichiarano di ambire ad un’occupazione semplicemente perché non pensano di poterla trovare sono aumentate del 50%.
Un’impennata dovuta sicuramente alla crisi economica che ha alimentato la sfiducia in tutti quelli che tentavano di inserirsi nel mondo del lavoro, anche per una prima occupazione. Gli scoraggiati tecnicamente non rientrano nella fascia dei disoccupati, ma piuttosto fanno parte degli inattivi, ovvero delle persone potenzialmente in età lavorativa (quella che va da 15 a 64 anni) che non hanno e non cercano un impiego.
Secondo l’ultimo aggiornamento trimestrale dell’Istituto di statistica si tratta di quasi 15 milioni di italiani. In questa cifra quindi un buon 10% deriva dallo scoraggiamento, frutto anche di chi resta fuori dal mercato per motivi di studio o formazione (4.259.000 persone) o ancora per scelte familiari (2.366.000). Tra gli inattivi ci sono 629 mila persone che aspettano i risultati di colloqui e ricerche effettuati negli ultimi mesi e che quindi portano gli inattivi in fascia giovane ad oltre due milioni.
Andando più a fondo alla ricerca, nel Mezzogiorno italiano sono 1.059.000 gli scoraggiati, quasi settecentomila dei quali sono donne. Una cifra cinque volte superiore complessivamente a quella del Nord Italia e sei volte più alta a quella delle regioni centrali. Cifre che testimoniano la carenza strutturale di offerte di lavoro ma soprattutto l’esigenza di un reale piano per il lavoro giovanile e in particolare per quello nelle regioni meridionali che ancora in Italia stenta a decollare nonostante le decine di milioni stanziate dai fondi dell’Unione Europea a tal scopo.
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