Nelle polemiche degli ultimi giorni in tema di lavoro, soprattutto quello giovanile, si inserisce un dato importante.
E’ quello relativo agli occupati stranieri nel nostro Paese che nel triennio tra il 2007 e il 2010 hanno fatto registrare un incremento importante.
Infatti siamo passati in Italia da 1,5 milioni di occupati a poco più di 2 milioni. Il che significa che quasi un posto su dieci in Italia (per la precisione il 9,1 per cento del totale dei lavoratori) è occupato da uno straniero a fronte di un calo complessivo dei lavoratori italiani pari al 4,3 per cento.
Lo testimonia uno studio realizzato dalla ‘Fondazione Leone Moressa’, che ha analizzato le prime 25 categorie professionali occupate dagli stranieri. Ed emerge quello che in molti già immaginavano: ci sono mestieri che gli italiani non amano più, nei quali addirittura la richiesta supera l’offerta e così spesso la manodopera straniera è essenziale per andare avanti. E’ emerso che oltre un terzo degli immigrati è occupato in professioni non qualificate. Inoltre il 28,3% degli stranieri risulta assunto come operaio specializzato e il 14,5% di loro è un professionista con qualifica.
Così non stupisce che la crescita maggiore nel triennio esaminato sia stata tra le professioni meno qualificate, con 356mila immigrati in più e 33mila italiani in meno. Parliamo di cuochi, camerieri e baristi, ma anche montatori, saldatori, lattonieri e addetti non qualificati nell’industria dove per un italiano che si chiama fuori ci sono due stranieri che entrano. Ma ci sono ad esempio ancora buchi profondi in molti settori come quelli di magazzinieri, manovali, cassieri e braccianti agricoli per i quali servirebbero almeno 330mila persone in più.
Ed emerge anche un dato interessante quanto al lavoro femminile. Se infatti l’Italia è generalmente in fondo alle classifiche europee in questo settore, le lavoratrici straniere comunque rappresentano il 42% degli immigrati occupati, arrivando a toccare l’80% nei servizi alla persona.
I motivi di questa escalation? Intanto la maggiore adattabilità degli stranieri, disposti a coprire servizi che gli italiani non sono in grado ma soprattutto non vogliono più offrire. E ancora una certa elasticità nei compensi, con pretese minori, ancorché contrattualizzate, rispetto a quello che normalmente chiederebbe un italiano.
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