E’ un problema che rischiava di passare sotto silenzio, ma in fondo interessa almeno due milioni di lavoratrici italiane. Ecco perché specialmente negli ultimi tempi grazie ad un’interpellanza urgente del Pd ma soprattutto a diverse petizioni online, è venuto alla luce. Parliamo delle ‘dimissioni in bianco’, pratica ancora molto diffusa e prevaricatrice, soprattutto contro le donne.
La richiesta in sostanza è quella di tornare alla legge 188/2007 che vietava questa possibilità per il datore di lavoro. Sostanzialmente al momento dell’assunzione possono essere presentati alle donne che lavorano due fogli da firmare. Uno ovviamente è il contratto, ma l’altro è una dichiarazione di dimissioni senza data, in modo che il datore di lavoro possa decidere di utilizzarla in qualsiasi momento.
Normalmente succede quando la lavoratrice resta incinta, riuscendo così a passare oltre le leggi che tutelano la maternità. Lo dicono i dati più recenti: sono ben 800mila le donne costrette a lasciare il lavoro ancora prima di diventare madri ed è soprattutto un fenomeno legato ai giovani. Infatti per le lavoratrici nate fra il 1954 e il 1963 la percentuale è pari al 7,9%, mentre per le donne nate dopo il 1973 arriva al 13,1%. E nella maggioranza dei casi è impossibile per i lavoratori licenziati in questo modo rivalersi davanti ad un giudice, visto che c’è la loro firma sul documento.
Con l’ultimo governo Prodi la legge 188/2007 aveva posto rimedio alla pratica, prevedendo l’uso di moduli numerati e validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie, quindi impossibili da conservare a tempo indeterminato. Con il ministro sacconi però la legge è stata cancellata e ora si moltiplicano gli appelli al ministro Fornero affinché si possa ripristinare la norma precedente.
Dal ministero del Lavoro hanno fatto sapere di avere a cuore il problema e di stare “studiando i modi e i tempi di un intervento complessivo, a carattere risolutivo e che, anche grazie all’uso delle tecnologie informatiche, possa garantire, in caso di dimissioni, la certezza dell’identità della lavoratrice, la riservatezza dei dati personali e, soprattutto, la data di rilascio e di validità della lettera di dimissioni”. Ma il provvedimento potrebbe essere diverso da quello voluto dal governo Prodi.
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