Teoricamente è una soluzione, ancorché temporanea. Praticamente però il lavoro internale negli ultimi anni in Italia ha fatto registrare un calo di occupati che dimostra come sia solo un palliativo: lo dimostra uno studio Ires-Cgil che parla di oltre 130mila lavoratori interinali in meno dal 2008 ad oggi.
Dopo il boom nelle stagioni dal 1997 in poi, quando venne introdotta questa forma contrattuale dalla Riforma Treu, i dati sono sempre stati in crescita, anche per la necessità delle aziende, grandi o piccole che siano, di far fronte a disponibilità temporanea di manodopera e a costi di gestione minori.
Ma dopo un progressivo aumento che ha portato il numero si è fermata facendo invece registrare un netto calo di lavoratori interinali, passati a 449.411 nel 2010, ossia 132.757 unità in meno rispetto al 2007. E soprattutto non è una sistemazione conveniente visto che oltre il 90% di loro guadagna meno di 15 mila euro l’anno.
La ricerca dimostra come l’incremento del lavoro interinale proceda di pari passo con il ciclo produttivo che porta quindi ad un aumento del Pil. E così ovviamente la richiesta è calata in maniera pesante dal 2009 quando il Pil nostrano è diminuito di oltre il 5%. Nel 2010, con una leggera ripresa del Pil, anche il lavoro interinale ha registrato una crescita rispetto all’anno precedente, ma con valori ancora molto al di sotto rispetto al 2008: gli assicurati all’Inail sono saliti a circa 450 mila, con un +12,7% rispetto al 2009. Ma considerando gli occupati interinali equivalenti a tempo pieno, il dato del 2009 con 151.723 unità è sceso sotto ai livelli del 2005.
Ma chi sono ancora questi interinali? A parte una quota inferiore al 10% che rientra in settori come sanità, pubblica amministrazione e istruzione, la stragrande maggioranza è impiegata nell’industria manifatturiera e nel commercio all’ingrosso, comparti nei quali c’è esigenza di un lavoro flessibile che segua l’andamento della produzione. A fronte di una larga disponibilità però, per gli interinali restano altissimi i rischi di precarietà e anche di accesso ai fondi a sostegno del reddito, così come all’indennità di disoccupazione.
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